Programma Terapeutico In evidenza
E’ nostra opinione che il fenomeno droga non è la causa iniziale di un “disagio” rispetto al comune vivere sociale, ma l’ espressione finale di uno stato di profondo malessere esistenziale.
L’ esperienza droga attecchisce il più delle volte in situazioni prive di un solido retroterra educativo ed a maggior ragione in situazioni di affettività carente o distorta.
La persona a disagio, in ricerca, spesso trova nella tossicodipendenza un’ apparente risposta al suo malessere, un modo per prendere distanza da sé ed il fenomeno-droga trova nel “disagio” di queste persone il terreno adatto per il proprio attecchimento.
Bisogna dunque spostare l’attenzione dalla tossicodipendenza come causa, alla tossicodipendenza come manifestazione ed effetto di disagio interiore. In questa prospettiva il fenomeno-droga porta in primo piano la considerazione della persona con i suoi problemi ed evidenzia che affrontare questa problematica significa guardare, scoprire ed affrontare ciò che è stato prima. La tossicodipendenza inoltre è l’ evidenziatore di un disagio diffuso che è presente è tocca altri giovani, anche se espresso in forme meno gravi e meno pericolose per la singola persona e per la società.
La persona tossicodipendente presenta spesso una forte fragilità ed il frazionamento della personalità che si evidenzia nel:
- vuoto nei confronti dei valori di fondo
- rottura e disattenzione ai rapporti
- incapacità di relazionare e rapportare la propria persona agli altri
- confusione ed ambiguità relazionali, abbandoni e ricatti affettivi
- inadeguatezza di fronte agli impegni concreti
- mancanza di stabilità
- mancanza di senso della vita
La tossicodipendenza per molti ragazzi costituisce la conclusione di un processo in cui il soggetto, sperimentando la facilità con cui vengono raggiunti certi obiettivi e soddisfatti certi bisogni ( soprattutto quelli di tipo narcisistico ), evita di affrontare le difficoltà provenienti dal dover fare delle scelte più costose ed impegnarsi a raggiungere obiettivi essenziali.
La difficoltà, la fatica, l’impegno ed il sacrificio non vengono riconosciuti come elementi di costruzione della persona e parti integranti della realtà umana, ma vengono nel complesso sfuggiti. Si ha, di conseguenza, uno scarso senso della realtà e l’ incapacità di assumere delle responsabilità che trova sfogo in una concezione della vita impostata sulla convinzione dell’ efficacia del “tutto e subito e senza fatica”.
Questa concezione della vita e della persona ha attecchito soprattutto grazie ad un vuoto di certezze profonde e di valori nel momento evolutivo, sostenuto da una cultura tesa a far conoscere sensazioni epidermiche sempre nuove, sempre più forti ed intense, come strumenti per verificare la propria “vitalità”. La persona che emerge è quindi carente di capacità di controllo e scelta e presenta uno squilibrio fra un’ individualità spesso dotata di grandi potenzialità ed una situazione esistenziale deformata che porta al fallimento, all’ autodistruzione.
La Comunità interviene in questa realtà proponendo di mettere al centro la persona con il suo “disagio” nell’ esperienza dei rapporti e della condivisione. Nel clima di una vita reale e regolare, la persona, accolta così com’è nella propria storia, può prendere coscienza di sé, delle sue difficoltà, dei suoi sentimenti, dei suoi compiti, della sua realtà e risperimentarsi nelle sue capacità di responsabilità ed autogestione. All’ inizio la comunità non è percepita dalla persona come una possibilità di cambiamento, ma come una necessità a cui ci si deve sottoporre. E’ comprensibile che in loro prevalga la resistenza al cambiamento.
Il lavoro, il dialogo, la correzione vicendevole, l’ ascolto, i colloqui, la conoscenza ed il mutuo sostegno formano la trama costante dell’ esperienza di condivisione e di crescita. Detto in due parole questi sono i meccanismi che impiantano e rinforzano l’ambiente terapeutico, unitamente al forte calore che deve circondare il contesto dell’ accoglienza e dell’ accettazione incondizionata positiva e propositiva della persona.
E’ importante successivamente saper far nascere e crescere nella persona un conflitto, facendolo maturare secondo gli obiettivi preposti. E’, difatti, impossibile identificare i prodromi del cambiamento se non si vive una crisi, una rottura, uno squilibrio, in breve, una messa in discussione profonda di sé, critica, sorretta dalla direttività univoca della volontà comunitaria al “vale la pena essere persone migliori e libere da forme negative di dipendenza“.
Le proposte di lavoro su di sé sono graduali e vengono attuate con impegni minimali:
- cura della propria persona e delle proprie cose (letto, biancheria, modo di vestire…)
- attenzione e rispetto della Comunità (strumenti, ambienti, regole…)
- partecipazione alle attività di gruppo (lavori, giochi, discorsi…)
- accettazione delle stimolazioni al dialogo, specie nel farsi conoscere con la propria storia
Quest’ultimo punto è considerato il vero inizio del cammino comunitario.
Occasioni utili per l’ approfondimento di questi impegni sono:
- il progetto per obiettivi personalizzati, concordato e periodicamente verificato con l’ operatore , l’equipe ed il Servizio inviante.
- le riunioni di gruppo
- le attività lavorative
- le diverse attività organizzate
- luoghi e momenti informali di aggregazione
Le persone con i figli vengono seguite con particolare cura e aiutate, anche favorendo un’ attenzione sempre maggiore di tutta la comunità nei loro confronti.
Il racconto della propria storia è lasciata inizialmente molto libero, pur con tutte le evidenti esagerazioni, l’ esibizionismo ed il compiacimento, evitando comunque di parlare di droga, se non in presenza degli operatori.
Il continuo dialogo, per non essere sterile, deve produrre:
- conoscenza reciproca
- capacità critica
- confronto
A questo punto la persona comincia a capire che molto di quello che ha detto e dice non va bene, è considerato oggetto di riflessione e di critica. Si scatenano quindi reazioni difensive diverse che il più delle volte allontanano il discorso personale: c’è chi tende al mutismo ed all’ isolamento, chi continua a parlare di cose banali; c’è però chi mostra maggiore apertura.
Inizia poi una fase delicata, in quanto si tratta di offrire alla persona occasioni per riacquistare fiducia negli altri e per mettere in discussione l’ immagine che ha di sé.
Ogni persona deve essere educata a costruire ed affermare la propria immagine positiva ed ogni sforzo educativo deve tendere a far emergere lo spessore-valore della persona, per evitare che questo rimanga solo a livello potenziale.
Essenziale al lavoro della comunità è favorire la maturazione della personalità mediante l’ interiorizzazione della norma, partendo dall’ osservanza delle regole della vita comune.
L’obbedienza alla regola aiuta a dare forma al caos interiore delle voglie, dei sentimenti, degli interessi per mettere questa realtà-forza al servizio della costruzione della persona.
La persona che inizialmente ha cercato di adattarsi alle regole interne di comportamento comincia a porsi delle domande, vive momenti di confusione e dubbio. Per ricrearsi qualche sicurezza facilmente ritorna con la fantasia alla precedente esperienza vissuta nella tossicodipendenza sminuendone la negatività. Naturalmente tale visione è distorta e limitativa in quanto fa riferimento solo a momenti esperienziali considerati positivi perché legati al piacere e ad una identità che, anche se negativa, consente di sentirsi parte di un gruppo.
Il ruolo della comunità è di integrare i ricordi con gli opposti vissuti negativi e frustranti per uscire, previa ammissione di fallimento, dell’ esperienza precedente con una presa di coscienza del disagio preesistente all’assunzione delle droghe e la consapevolezza di non doversi più rapportare con la “roba”, ma con se stesso, con ciò che si è e si ha nella realtà.
Questa sostanzialmente è la proposta di cambiamento: il raggiungimento di un’adeguata immagine di sé e l’accettazione della propria personale realtà.
L’ultima fase del programma dovrebbe portare gradualmente il soggetto a riconquistare fiducia in sé e negli altri, voglia di vivere in modo radicalmente diverso.
L’acquisita onestà con se stesso, il senso di responsabilità, l’interesse per gli altri e per il vivere sociale dovrebbe permettere il superamento delle precedenti convinzioni.
Riemergono e maturano i sentimenti e le emozioni interiori, l’affettività si affina e si consolida, a volte riaffiora il senso religioso e tale bisogno può diventare, orientato e alimentato, occasione per una impostazione nuova della vita.
La condizione familiare incide più di quanto si creda sul problema “droga” perché come determinante è stato il suo ruolo nella formazione e crescita dell’ individuo, altrettanto lo sarà nel momento del ritorno-reinserimento.
Nell’intento di superare i frequenti atteggiamenti di “delega”, la comunità, nel programma di recupero, prevede ed insiste sulla partecipazione della famiglia al dialogo educativo, alla presa di coscienza e partecipazione ad ogni fase educativa.
Il dialogo del ragazzo e della comunità con la famiglia va preparato e correttamente valutato affinché, verificata l’individuale consistenza interiore, emerga la necessità della ricerca di una comunicazione reale.
In questo rapporto occorre trovare gli strumenti validi per aiutare la famiglia a:
- scoprire la sua naturale funzione educativa ed esercitarla nei diversi ruoli
- riscoprire la necessità e l’ urgenza di porre al centro dei propri interessi le persone e non le cose
- recuperare al suo interno un rapporto adulto consapevole dei limiti vicendevoli e delle capacità e responsabilità di ciascuno
- riconoscere che il ruolo formativo passa attraverso il comportamento e la persona dell’ educatore.
Occorre quindi passare dai discorsi alle relazioni significative ricercando la coerenza e superando i cedimenti ed i ricatti affettivi.
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